Ci sono ritorni che non partono da una nostalgia.
Ritorni che si innestano come spine in luoghi dove non abbiamo mai abitato, o dove siamo stati senza esserci mai sentiti a casa.

Ritornare dove non si è mai stati è un paradosso solo in apparenza.
Ci sono spazi che ci appartengono ancor prima dell’esperienza, e altri che ci hanno accolti senza mai includerci. La memoria emotiva non è sempre lineare: può contenere ciò che non è mai accaduto e rifiutare ciò che è successo davvero; e allora: quando fai ritorno a una città, a una persona, a una parte di te sei ancora tu?

Ci sono casi in cui l’idea di ritorno porta con sé un desiderio di pienezza, ma si scontra con l’evidenza della frattura. Il passato non si ricuce mai perfettamente: resta un taglio visibile, una cicatrice che pulsa sotto la pelle. Si può tornare, sì. Ma non si torna mai interi, non si torna mai uguali.

Spesso si ritorna in luoghi che non ci hanno mai voluto veramente.
Luoghi che abbiamo desiderato disperatamente, ma che ci hanno lasciati fuori, a battere il freddo.

Eppure torniamo. Perché?
Forse per riprenderci qualcosa. Forse per testimoniare che siamo cambiati, che abbiamo resistito, che possiamo stare dove prima ci dissolvevamo.

È un gesto radicale: ritornare dove non si è mai stati davvero è anche reclamare presenza in un luogo che ci ha ignorati.
È dire: sono qui, anche se non mi hai mai riconosciuto.

Il ritorno, allora, non è un atto di riappacificazione. È uno specchio che non riflette più l’immagine che ci aspettavamo.
È uno spazio che ha il nostro odore, ma non il nostro nome.
È una lingua che abbiamo quasi dimenticato, ma che ci sfiora ancora la gola quando sogniamo.

Ritorniamo per misurarci con l’assenza.
Con la domanda irrisolta: perché non mi hai voluto? perché io ti volevo così tanto?

Ma anche: e adesso, che cosa ne faccio di te?

Il ritorno può essere un riscatto.
Può essere una soglia.
Può essere un atto poetico.
E può non essere nulla, solo un passaggio, un attraversamento muto, dove il dolore si fa topografia. Dove il cuore riconosce una mappa senza mai esserci stato davvero.

Forse è proprio in questi luoghi, mai nostri, mai del tutto, che impariamo a stare.
Con passo incerto, con rispetto, ma finalmente da vivi.